Il Corpo che prega

Il corpo che prega, ovvero, la preghiera della sensibilità

Per la Scrittura la preghiera è attività di tutto il corpo, non solo di una sua parte, più “spirituale” o “interiore” o “razionale”. I Salmi lo mostrano bene. Si potrebbe parlare di preghiera dei sensi – vista, udito, tatto, olfatto e gusto – a patto di intendere questa espressione non in un riduttivo senso emozionale. Ma va detto che per la Bibbia esiste una santità della carne non meno di una santità dello spirito.

ì Riesaminiamo le concezioni inerenti l’ascolto e la vista36. È indubbio il

ìl primato dell’ascoltare sul vedere nell’esperienza di fede che sgorga dalla rivelazione biblica. L’originarietà della parola di Dio che si rivolge all’uomo e lo cerca, situa l’esperienza spirituale nel quadro dialettico di “chiamata e risposta”, non in quello della rappresentazione. Questa originarietà della parola divina dice che fondamento dell’esperienza spirituale è la volontà di Dio che si manifesta nel suo dare vita e creare, nel suo cercare l’uomo e volgersi a lui. Nell’esperienza biblica della fede l’ascolto gode di una sorta di “privilegio”, che consiste nello scoprire e nell’aprirsi a una presenza irriducibile all’ordine della percezione e della conoscenza. Il “privilegio” dell’ascolto risiede nel fatto che esso è per eccellenza il senso della conversione (“Ascoltate, e la vostra anima rinascerà”: Is 55,3) e dell’alleanza (“Ascoltate la mia voce!

Allora io sarò il vostro Dio e voi sarete il mio popolo”: Ger 7,23). Anche lo Spirito può essere accolto grazie all’ascolto: “Chi ha orecchio ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese” (Ap 2,7). L’ascolto converte il cuore rendendolo capace di accogliere una presenza altra, di ospitare una volontà altra. L’ascolto scava nel credente uno spazio per ospitare un altro da lui e fare avvenire in lui qualcosa della differenza di cui l’altro è portatore.

Se vi è un “privilegio” dell’ascolto, tuttavia la Scrittura non stabilisce una contrapposizione tra l’ascolto e la vista. Al Sinai “tutto il popolo vide le voci” (Es 20,18 secondo il testo ebraico), e la tradizione ebraica può dire che la parola di Dio diviene visibile nel suo farsi scrittura. Vi è sinergia tra vedere e ascoltare: la visibilità del mondo va ascoltata e l’ascolto illumina il visibile, rende visibile il mondo, e lo rende visibile con lo sguardo dell’accoglienza e della gratuità e non del possesso. Ora, è certo che un difetto della spiritualità cristiana sia stato quello di avere troppo spesso opposto ascolto e visione, e più radicalmente ancora, sensi e spirito.37 L’ascolto tende a inscrivere nel corpo, cioè nell’uomo intero e in tutte le sue relazioni, la parola divina. Questa è la logica dello shemac Israel (cf. Dt 6,4-9: i comandi di Dio devono stare non solo fissi nel cuore, ma anche legati alla mano, appesi come pendaglio fra gli occhi, scritti sugli stipiti delle porte, ripetuti ai figli, proclamati in casa e lungo la strada, al momento di coricarsi e al momento di alzarsi…), che si oppone a ogni separazione fra interiorità ed sensibilità e che cerca di raggiungere l’uomo in quanto tale, nella sua corporeità come in tutti gli ambiti del suo vivere: famigliare, sociale, politico. Rabbi Shneur Zalman di Ladi afferma: “Se la Torah è fissata nei duecentoquarantotto organi del tuo corpo, tu la custodirai; altrimenti la dimenticherai”. Chi, infatti, si dedica alla Torah, afferma la tradizione ebraica, ne porta i segni. La vita spirituale si è troppo nutrita di polarità presto divenute antitesi inconciliabili: interiore – esteriore, io interiore – io esteriore, sensibilità – interiorità, spirito –materia, ascolto – visione, corpo – anima, ecc. Il rischio è quello di arrivare a contrapporre e separare ciò che Dio ha unito, di non cogliere la complementarietà, l’intrinsecità, la fondamentale unità di quelle dimensioni, e di pervenire così a formulare spiritualità infedeli alla rivelazione biblica e anche nevrotiche e nevrotizzanti nella sua persona: “Proprio come il fuoco lascia un segno sul corpo di chi opera con esso, così le parole della Torah lasciano un segno sul corpo di colui lo Spirito può far divenire il corpo dell’uomo preghiera, narrazione vivente della presenza di Dio. Scrive Isacco di Ninive:

“Quando lo Spirito pone la sua dimora in un uomo, questi non può più arrestare la sua preghiera perché lo Spirito non cessa di pregare in lui. Che lui dorma o vegli, la preghiera non si separa dal suo cuore. Mentre mangia, mentre beve, mentre riposa, mentre lavora, mentre è sprofondato nel sonno, il profumo della preghiera esala spontaneamente dal suo cuore”.

Il cristianesimo afferma la connivenza profonda tra il sensibile e lo spirituale,

tra i sensi e lo spirito, tra il corpo dell’uomo e lo Spirito di Dio. Dio

è narrato dall’umanità di Gesù di Nazaret. Così la rivelazione biblica non

oppone visione e ascolto, ma si sforza di pensarli insieme (e nella Bibbia al

comando di tendere l’orecchio si accompagna quello di alzare gli occhi), non

mette in contrapposizione i sensi e lo spirito, ma afferma l’essenzialità dei

sensi per l’esperienza spirituale. Di contro a una spiritualità dell’interiorità

che si oppone al piano della sensibilità, perché non pensare che fra interiorità

e sensibilità non vi è opposizione, ma scambio e interazione in cui una

dimensione prega l’altra di donarle ciò che non è capace di darsi da sé? È attraverso

i sensi che il mondo fa esperienza di noi ed è attraverso i sensi che

noi facciamo esperienza del mondo. Possiamo dire che vi è un infinito mistero

in ogni senso: nella vista, nel tatto, nell’olfatto, nel gusto, nell’udito.

Mistero afferente all’alterità che dall’esteriorità e tramite i sensi giunge a

noi, ci ferisce, ci inabita. I sensi hanno dunque a che fare con il senso: lì si

cela la loro attitudine intrinsecamente spirituale.

Noi entriamo nel senso della vita attraverso i sensi. Il senso del mondo

non è estraneo ai sensi attraverso cui il mondo stesso viene colto ed esperito

da noi: il significato di un fenomeno è inseparabile dall’accesso che vi conduce.

Il corpo ci ricorda l’evento e la realtà “spiritualissima” per cui ciò che

noi siamo sta nello spazio di una relazione. “Noi siamo dialogo”, ci dice il

nostro corpo. Il corpo è appello e chiamata, in esso è insita una parola, una

vocazione. Il corpo è apertura allo spirito: nulla di ciò che è spirituale avviene

se non nel corpo.

I Salmi sono la migliore espressione della preghiera della sensibilità. “Il

fragile strumento della preghiera, l’arpa più sensibile, il più esile ostacolo

alla malvagità umana, tale è il corpo. Sembra che per il Salmista tutto si giochi

là, nel corpo. Non che sia indifferente all’anima, ma al contrario, perché

l’anima non si esprime e non traspare se non nel corpo. Il Salterio è la preghiera

del corpo. Anche la meditazione vi si esteriorizza prendendo il nome

di ‘mormorio’, ‘sussurro’. Il corpo è il luogo dell’anima e dunque la preghiera

traversa tutto ciò che si produce nel corpo. È il corpo stesso che

prega: ‘Tutte le mie ossa diranno: Chi è come te, Signore?’ (Sal 35,10)”41.

Pregare, per il Salmista, è anche dire e vivere il proprio corpo davanti a Dio.

Certo, i sensi devono essere risvegliati, destati, purificati, perché sono sempre

a rischio di idolatria: la vista dovrà sempre restare aperta all’invisibile,

l’ascolto dovrà sempre stare al cospetto del non detto e dell’ineffabile…

Anche l’ascolto, infatti, non solo lo sguardo, può divenire idolatrico:

quando l’orecchio s’impadronisce della parola divina come di una parola

che non chiama, ma conferma, che non interpella, ma garantisce, che non

scuote e non mette in crisi, ma rassicura, che non pone in cammino, non fa

uscire per un esodo, ma stabilizza e arresta, allora siamo di fronte a un

ascolto idolatrico. Certo, la Scrittura e la tradizione cristiana parlano di

sensi spirituali: occhi del cuore, orecchio del cuore, ma i sensi nella loro materialità

sono ciò che ci mantiene aperti all’alterità mantenendoci aperti all’esteriorità.

È attraverso l’esteriorità e l’alterità cui i sensi ci danno accesso che noi non ci rinchiudiamo in una spiritualità intimista, individualista e di mera interiorità. I sensi sono la via sensibile all’alterità. Certo, essi possono chiudersi e intontirsi: la Bibbia (e Gesù stesso) parla di occhi che guardano ma non vedono, di orecchi che non ascoltano, di cuore indurito, ecc. Per svolgere la loro funzione spirituale, i sensi devono essere tenuti vivi attraverso l’attenzione e la vigilanza. Allora essi saranno la memoria del carattere spirituale del corpo e della santità della carne.

Questo discorso sul processo che dai sensi conduce al senso ci dice l’intenzionalità del corpo, ovvero il fatto che attraverso il corpo noi impariamo e attribuiamo significati al reale. Insomma, nessuna facoltà spirituale dell’uomo si esplica senza la mediazione corporea, fuori del corpo. Ascolto dello Spirito e ascolto del corpo, conoscenza di Dio e conoscenza di sé vanno di pari passo.

Luciano Manicardi, Didaskalia, xxxix (2009), Monastero di Bose