DODICESIMA DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B)
Rembrandt V.R., Cristo nella tempesta sul lago di Galilea, 1633, olio su tela,
L’arte (G. Prandina)
Ricordiamo quella sera di venerdì 27 marzo 2020? Papa Francesco camminava nella pioggia nella piazza S. Pietro deserta. Era il tempo in cui un misterioso virus seminava fragilità, dolore, morte, falcidiando molte vite, facendole soffocare, come se affogassero nel mezzo di una tempesta. Cosa provi quando ti manca il respiro? quando bisogna lottare per ogni respiro? Gli apostoli, all’imbrunire, sono con Gesù sulla barca e devono attraversare il lago di Tiberiade per raggiungere la riva opposta. Ed ecco che improvvisamente «ci fu una grande tempesta di vento e le onde si rovesciavano nella barca, tanto che ormai era piena». Talvolta si tratta di rapide tempeste d’acqua, violente quanto impreviste, come quelle che nei giorni scorsi ci hanno sorpreso nella notte, allagando le nostre case. Ci guida oggi l’analisi dell’opera pittorica «Cristo nella tempesta sul mare di Galilea» realizzata nel 1633 da un Rembrandt ventisettenne. La tela, esposta a fine ’800 nel museo Isabella Stewart Gardner di Boston, fu rubata il 18 marzo 1990. La scena rappresenta il momento in cui Gesù «se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva… allora [i discepoli] lo svegliarono e gli dissero: “Maestro, non t’importa che siamo perduti?”». È l’unico paesaggio marino dipinto da Rembrandt ed è un’opinione abbastanza diffusa che l’unica figura che guarda verso l’osservatore sia un autoritratto dell’autore stesso. La composizione esprime una grande drammaticità, accentuata dal forte chiaroscuro. Nella drammaticità della scena si riconosce l’influenza artistica di Peter Paul Rubens, ma ancor più Rembrandt si concentra sulla rappresentazione del dramma umano presentando due modi di reagire alla bufera da parte degli apostoli: in queste reazioni possiamo riconoscerci quando ci troviamo a lottare contro le avversità della vita. Le onde si infrangono violentemente sullo scafo della barca, al punto che le sue fragili assi rischiano di sfasciarsi. L’attrezzatura, le carrucole, il cordame, minacciano di staccarsi dall’albero e volano pericolosamente sopra le teste dell’equipaggio. Tutti stanno cercando di salvare se’ stessi. Alcuni atterriti, fidandosi delle proprie forze e dell’esperienza, lottano in tutti modi per vincere la tempesta e riuscire a guidare la barca (a prua, due cercano di ammainare la vela già strappata, tre si affaticano disperatamente attorno all’albero maestro, quello di schiena se ne sta accovacciato, un altro vomita sporgendosi dalla barca, dall’altra parte uno resta immobile preso dal terrore, mentre il timoniere, allo stremo dello sforzo, si rivolge sorpreso a Gesù che sta per essere svegliato. Di contro, gli altri tre sono attorno al Maestro: uno lo sveglia, l’altro chiede aiuto, il terzo prega con le mani giunte. E Gesù risponderà «Perché avete paura? Non avete ancora fede?». Oltre ai dodici, un altro personaggio dal volto del pittore, rivolto a noi osservatore pare chiederci: «E tu, come affronti la tempesta?». «C’è una crepa – ha commentato Cohen – in ogni cosa. Ma è proprio lì che la luce entra e permette la resurrezione, è lì che nasce il confronto con le cose che si rompono e il pentimento».
Intro
In questo brano tutto è volto a descrivere la situazione dell’umanità nella sua lenta storia e tutto mira ad annunciare il piano divino che il Figlio di Dio vuole realizzare. È venuta la sera: la notte della paura e del dubbio; la fine del giorno e delle sue effimere certezze. Gesù invita la sua Chiesa a prendere il largo e a “passare” all’altra riva. Si tratta di un invito alla Pasqua che è un “passaggio”: passaggio del mar Rosso per il popolo eletto, liberato dalla schiavitù e condotto alla libertà; passaggio dalla morte per il Figlio dell’uomo liberato dal peccato e condotto alla gloria. L’altra riva è la riva di Dio, la riva che non si vede e di cui Gesù rivela il cammino (Gv 14,4). La barca che attraversa il lago con i discepoli e Gesù è la Chiesa. Come l’arca di Noè, essa è stata costruita appositamente per “passare”. Ma scoppia una tempesta. Le forze del male si scatenano contro di essa. La barca si riempie d’acqua, qui simbolo di morte: l’acqua toglie il respiro all’uomo. Il male lotta contro lo Spirito. E Gesù dorme. L’assenza di Gesù pesa enormemente sul cuore dei fedeli: non vedendo Gesù, hanno paura e giungono persino a pensare che non sarebbero mai riusciti a compiere la traversata e che non avrebbero mai dovuto prendere il largo su quella barca. Ma la preghiera insistente dei fedeli, che lo chiamano, viene sentita da Gesù. Si sveglia. Egli è là, come ha promesso (Mt 28,20). Gesù salva la sua Chiesa da tutte le tempeste che minacciano di farla affondare. Gesù non rimprovera il fatto che non lo si sia svegliato subito, ma biasima invece la mancanza di fede. Bisogna pregarlo, e pregarlo con fede. La paura di morire, che è negativa, viene allora sostituita dal timore di Dio, che è l’obbedienza dei fedeli al loro Salvatore. Questa è la nostra situazione: la debolezza della nostra imbarcazione trae forza dalla presenza di Cristo: egli ci fa passare.
Il vangelo
Mc 4,35-41
Chi è costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?
Dal Vangelo secondo Marco In quel giorno, venuta la sera, Gesù disse ai suoi discepoli: «Passiamo all’altra riva». E, congedata la folla, lo presero con sé, così com’era, nella barca. C’erano anche altre barche con lui. Ci fu una grande tempesta di vento e le onde si rovesciavano nella barca, tanto che ormai era piena. Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. Allora lo svegliarono e gli dissero: «Maestro, non t’importa che siamo perduti?». Si destò, minacciò il vento e disse al mare: «Taci, calmati!». Il vento cessò e ci fu grande bonaccia. Poi disse loro: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?». E furono presi da grande timore e si dicevano l’un l’altro: «Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?».
Le parole
Com’è possibile dormire tranquilli, mentre le onde infuriano e l’acqua ha già quasi riempito la barca? Non è la cronaca di come i discepoli furono salvati. Ciò che conta è il motivo, il centro è la persona di Gesù: è così potente che riesce a placare la furia del mare. O è distratto e disinteressato? Chi è questo Gesù? Taci! calmati! Se il discepolo ha avuto la fede necessaria per separarsi dalla folla e seguire Gesù, ora – vicino a lui – deve essere in pace anche nelle sciagure e sereno nella tempesta dell’oppressione. C’è speranza per la Chiesa perseguitata e scoraggiata dal silenzio del Risorto. Protagonisti sono i discepoli e il Maestro. Il comando dato al mare richiama l’opera di Dio nella creazione, la vittoria sul dragone del mare; la liberazione d’Israele. Qui è Gesù che salva. E chi è costui al quale vento e mare in tempesta obbediscono? Chi è Colui che può liberare la sua Chiesa dall’angoscia? Passare. Gesù, dopo aver parlato alla folla da una barca, invita i discepoli a passare all’altra riva. Ha già dato le istruzioni per il viaggio. La vita è questa attraversata verso l’altra sponda. Certamente è un viaggio con eventi e incidenti. In vista del salvataggio e dell’arrivo, conta “prenderlo con sé”. È il viaggio della vita fatto in comunione profonda con il Signore; il riconoscimento della sua signoria. Grande tempesta. Ed “Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva”. È la descrizione di cosa sia la fede, nella presenza-assenza di Dio: una debolezza-potenza. In questo senso la fede è sempre dell’inizio, limitata e frangibile. La fede è un cammino vissuto nel tempo, nella memoria viva di quanto il Signore ha fatto e continua a compiere.
La teologia (H.U. von Balthasar)
Gb 38,1.8-11; 2Cor 5,14-17; Mc 4,35-41
1. «Chi ha chiuso tra due porte il mare?». Il mare, che Dio ha creato, sembra avere nel mondo il sovrappeso sulla terra, il suo potere selvaggio e informe sembrò a molti antichi popoli qualcosa come il caos antidivino. Ma Dio nella prima lettura mostra a Giobbe che egli ha racchiuso entro barriere questa apparente superpotenza: ciò che si solleva e urla dagli abissi egli l’ha avvolto – proprio come un lattante – in fasce e la furia degli elementi l’ha collocata dietro «serratura e porta». Per Giobbe tutto ciò significa che se Dio può già dominare queste forze della natura, tanto più può addolcire e regolare il destino dell’uomo.
2. «Le onde invadevano la barca». Ed ora il Vangelo ci mostra che questo potere di dominio sulle potenze naturali è dato anche al Figlio dell’uomo; lo possiede a tal punto che perfino durante la «gran tempesta» dorme nella barca: riposa nella protezione del Padre suo, che vigila sulla sua vita e la sua missione e non permette che una forza di natura lo travolga. E quando su pressione dei discepoli impauriti comanda alla tempesta («Taci, calmati»), ciò avviene non per far mostra del suo potere, né perché avesse avuto anche lui paura, ma per l’angoscia di quegli uomini di poca fede: «Perché siete così paurosi? Non avete ancora fede?». Ma la loro fede vacillante non doveva limitarsi a simili miracoli, bensì estendersi a quelli assai più grandi che erano nella missione di Gesù: egli era venuto per placare una tempesta furiosa del tutto diversa: il caos dei nostri peccati, e ciò nella sua morte di croce, che indubbiamente lo sottrae a tutte le «misure umane» e ci fa ora realmente domandare: «Che uomo è mai costui?».
3. La seconda lettura fa conto di questa piena fede, la quale riconosce che Gesù sfugge a tutti i criteri umani di misura, perché ha compiuto il miracolo più estremo possibile, quello di «morire uno per tutti, affinché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e risuscitato per essi». In tal modo gli uomini sono non soltanto, come nel miracolo della tempesta, messi un’altra volta al sicuro nella loro vita mortale, ma «se sono in Cristo» vengono trasferiti in una affatto «nuova creazione», in cui «le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove». La tempesta del lago è stata sedata per causa della loro poca fede, affinché comincino a porre la loro fiducia in Gesù. La morte di croce, che placa una tempesta ben peggiore, esige da chiunque crede anche solo timidamente di non vivere affatto più «per se stesso».
Esegesi (B. Maggioni)
Il testo evangelico è potente anche a chiunque in questo particolare momento è in cerca di certezze, che è necessario – al di là della tragedia che l’umanità sta vivendo, al di là del dolore e del terrore che gli individui provano di fronte alla minaccia concreta della morte – “abbracciare la speranza”, che è necessaria “la forza della fede” che ci “libera dalla paura” e tutto questo non per le speranze umane ma per la fede in Gesù. Il cap. 4,35-41 del Vangelo di Marco, esordisce con “ὀψίας γενοµένης”, che traduciamo con “venuta la sera”. La “sera” non è solo un evento semplicemente temporale, ma rappresenta la venuta del negativo, il disorientamento tragico della vita di ognuno quando non c’è più la luce della verità a sostenerci. Infatti l’evangelista Marco usa questa stessa espressione del “calar delle tenebre” sempre in un contesto negativo (cfr. Mc 1,32; 4,35; 6,47; 14,17; 15,42). Mentre Gesù e i discepoli sono in viaggio per raggiungere in barca “l’altra riva”, scoppia “una grande tempesta di vento e le onde si rovesciavano nella barca, tanto che ormai era piena”. La “sera” con le sue tenebre dell’inizio del passo evangelico si fa sempre più oscura e diventa “λαῖλαψ µεγάλη ἀνέµου”, una grande tempesta di vento, metafora delle avversità, del dolore e della morte a cui ogni esistenza va incontro inevitabilmente. Pensiamoci noi sulla barca che sta per affondare, travolta dalla tempesta del divenire e della contingenza della vita, che fa affiorare continuamente pericoli, minacce, sofferenze e – da ultimo – la morte. E questo papa Francesco lo mette bene in evidenza: “ci siamo ritrovati impauriti e smarriti. Come i discepoli del Vangelo siamo stati presi alla sprovvista da una tempesta inaspettata e furiosa. Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati”. I discepoli di Gesù hanno paura, poiché la morte sta per travolgerli e distruggerli. È Gesù stesso che lo dice dopo aver sedato la tempesta: “perché avete paura?”. Nel testo evangelico nessuno risponde direttamente a questa domanda, perché è una domanda la cui risposta è ovvia per tutti, per i discepoli come per noi: la morte è la grande distruzione, è ciò al cui passaggio non rimane più nulla, è il momento in cui “ciò che è” – il non-nulla – diventa nulla. Ed è proprio per questo che l’uomo, al tempo di Gesù come ora, è terrorizzato dalla morte e dal dolore come battistrada della morte, che distrugge tutto, lasciando solo il nulla. Una risposta indiretta a questa domanda la troviamo anche nel testo evangelico, prima che Gesù placasse la tempesta quando i discepoli “lo svegliarono e gli dissero: «Maestro, non t’importa che noi moriamo?»”. Il testo originale greco suona “ἀπολλύµεθα”, dal verbo “ἀπολλύµι”, che significa “rovinare”, “perire”, “distruggere” che a sua volta è costruito sul verbo “ολλύµι” con il significato di “abbattere”, “uccidere”, “morire”, “perire”, “essere ucciso”. Nella versione latina del passo evangelico troviamo perimus, anch’esso con il significato di “morire”, “andare in rovina”, “distruggersi”. Il senso delle parole dei discepoli è evidente. Temono la distruzione che la morte rappresenta. I discepoli sono angosciati perché avvertono che stanno per morire, perdendo tutto. E l’angoscia dei discepoli sulla barca travolta dalla tempesta è la stessa angoscia che ogni uomo prova al cospetto della minaccia annientante della morte, che in questo frangente storico è incarnata dalla pandemia, ma che da sempre ha dominato la scena storica; non sono mai mancate guerre, pestilenze, carestie e dolore di ogni sorta nelle vicende umane in ogni latitudine e in ogni tempo. Nel testo evangelico Gesù “rimproverò il vento e disse al mare: «Calmati!» Il vento cessò, e subito ci fu una gran calma”, il testo latino suona solennemente “et facta est tranquillitas magna”. La tempesta, simbolo della morte, non prevale per chi ha fede in Gesù: “come i discepoli sperimenteremo che, con Lui a bordo, non si fa naufragio. Perché questa è la forza di Dio: volgere al bene tutto quello che ci capita, anche le cose brutte. Egli porta il sereno nelle nostre tempeste, perché con Dio la vita non muore mai”. Gesù risorge dalla morte e vive in eterno così come vive in eterno chi ha fede in lui, sconfiggendo la morte “perché con Dio la vita non muore mai” e nessuna angoscia, nessuna tempesta, nessuna pandemia potranno mai turbare chi ha fede. E Gesù stesso che lo ricorda quando, rivolgendosi ai discepoli angosciati per l’avvicinarsi della morte, dice loro: “Perchéavete paura? Non avete ancora fede?”. Chi ha fede, infatti, non teme nulla. Ma che fede è la fede di cui parla Gesù? Di certo non è la fede di chi si rivolge a dio per chiedergli di far accadere ciò che vuole che accada. Si chiede che accada ciò che la volontà del credente vuole che accada. Egli ritiene che Dio stia sbagliando e lo prega di cessare di essere in errore, facendo sì che accada non ciò che dio vuole che accada, ma ciò che egli prega che accada. Anche se non è l’aspetto decisivo di ciò che stiamo cercando di portare alla luce, vale la pena richiamare l’attenzione che “la forza di Dio” sta nel “volgere al bene ciò che ci capita, anche le cose brutte”: il dolore, la sofferenza e, oggi, la pandemia, che tante vite sta mietendo e che fa sentire gli uomini come i discepoli sulla barca durante la tempesta. Per un credente le cose – anche quelle brutte – non possono essere qualcosa “che ci capita”. Il “capitare” è verbo pericolosissimo poiché indica il “giungere per caso” delle cose e degli eventi. Negli accadimenti dolorosi, “mortali”, anche là Gesù ha il coraggio di rimproverare: “Perchéavete paura? Non avete ancora fede?”. In Marco la parola fede è spiegata da Gesù: “Abbiate fede in Dio! In verità io vi dico che chi dirà a questo monte: «Togliti di là e gettati nel mare», se non dubita in cuor suo, ma crede che quel che dice avverrà, gli sarà fatto” (Mc 11, 22-23). La fede di cui parla Gesù è la fede che sposta le montagne o, come nel caso precedente, placa la tempesta “et facta est tranquillitas magna”. La fede di cui parla Gesù, tuttavia, è qualcosa di estremamente problematico. Il credere che “non dubita in cuor suo” è – almeno a prima vista – impossibile, un assurdo, un cerchio quadrato. Credere significa essere convinti di qualcosa, nonostante i dubbi. Non è necessario credere in ciò che è oggetto di sapere, dove “sapere” indica la dimensione che è in grado di eliminare qualunque dubbio, l’indubitabile. L’essenza stessa della fede perderebbe di senso se fosse un “sapere indubitabile”, poiché non sarebbe necessario credere in ciò rispetto a cui è impossibile il costituirsi dei dubbi. È lo stesso Paolo, infatti, che definisce la fede come”argumentum non apparentium” (Eb 11, 1). La fede è ciò che dà consistenza di verità (argumentum, ἔλεγχος) a ciò che di per sé non ha verità in quanto non è manifesto (non apparentium, οὐ βλεποµένων). Semplicemente io posso avere solo fede che domani esisterò, poiché il mio esistere nel futuro non è manifesto, non appare e quindi non è vero di per sé, ma solo perché io lo credo vero, nonostante possa dubitarne. Al contrario, che io esista qui ed ora è qualcosa di manifesto – e, quindi, indubitabile – che non necessità di essere creduto. Anche se meriterebbe un approfondimento, dovrebbe risultare semplice comprendere che un’ampia serie di “verità” cattoliche non possono essere oggetto di “sapere indubitabile”, ma di fede: l’esistenza di dio, la resurrezione, l’esistenza dell’anima, la creazione del mondo sono alcuni degli esempi di affermazioni che la fede crede vere, ma di cui si può dubitare, come si può dubitare del fatto che “domani esisterò”. Se così stanno le cose è impossibile che chi ha fede “non dubita in cuor suo” come chiede Gesù, poiché avere fede è lo stesso che dubitare di ciò in cui si ha fede. Ma Gesù intendeva ciò che i testi evangelici e la tradizione cristiana prima e il cattolicesimo poi sostengono? Non lo “sapremo” mai al di là di ogni dubbio, ma, forse, chi “non dubita in cuor suo” è colui che non ha paura di ciò che accadrà, poiché sa che ciò che accadrà è ciò che deve necessariamente accadere, “cose brutte” comprese e che – come Gesù che durante la tempesta “se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva” tranquillo – non prega che le cose vadano secondo la sua volontà, ma chiede che “sia fatta la Tua volontà” e non lascia che l’angoscia per la pandemia lo travolga come l’angoscia per la tempesta travolse i discepoli, a cui Gesù rivolse queste misteriose parole, che ci indicano qualcosa del mistero delle cose che non appaiono (non apparentium), ma non lasciano che il mistero si dissolva completamente.
I Padri
1. Il sonno di Cristo sulla barca
Tutte le volte che Cristo dorme nella nostra nave, e a causa del sonno della nostra ignavia s’addormenta nel nostro corpo, insorge una totale tempesta per la violenza dei venti, infieriscono minacciose le onde, e mentre troppo frequentemente si innalzano e cadono con flutti spumeggianti, amaramente suscitano nei naviganti con l`attesa i naufragi, come ha detto la lettura del nostro evangelista… “E lo prendono”, disse, “cosí com`era nella nave” (Mc 4,36). Altro è il Cristo in Cielo, altro è il Cristo in nave: altro nella maestà del Padre, altro nella umiltà dell`umanità si avverte; altro si vede coeterno al Padre, altro temporale in rapporto alle età; altro dorme nel nostro corpo, altro veglia nella santità del suo spirito. “Lo prendono cosí com`era”, disse, “nella nave”. Lode di fede è ricevere il Cristo come è e si ha nella nave, cioè, nella Chiesa, dove è nato, dove crebbe, dove soffrí, dove fu crocifisso e sepolto, dove ascese al Cielo, siede alla destra di Dio Padre, donde verrà come giudice dei vivi e dei morti: professare tutto questo è di singolare salvezza. Colui che avrà accolto nella nostra nave e confessato il Cristo, qualora venga sommerso dagli scandali delle onde, non è immerso dai pericoli e coperto dalle onde… “Quella burrasca gettava le ondate nella nave” (Mc 4,37): poiché come le onde dei popoli e la ferocia delle persecuzioni agitano e squassano la nave del Signore esternamente, cosí all`interno i burrascosi flutti degli eretici irrompono ed infieriscono [contro di essa]. Il beato Paolo dichiara di aver sofferto questa tempesta, quando dice: “Al di fuori le lotte, internamente i timori: talmente che la nave fosse sommersa” (2Cor 7,5). Giustamente l`evangelista, a causa dei flutti spumeggianti, riferisce che la nave fosse ripiena [d`acqua], soffrendo la Chiesa un numero cosí grande di eresie, quante controversie della legge leggiamo che ci siano. “Ed egli”, disse, “dormiva a poppa sopra un cuscino. Lo svegliano e gli dicono: Maestro, non t`importa che affondiamo? E, alzandosi, minacciò il vento e disse al mare: Taci e calmati. E cessarono i venti ed il mare ritornò calmo” (Mc 4,38-39). Mentre avveniva ciò gli insegnamenti si manifestarono, e il tempo lo addita ad esempio. Dal momento che grande e abbastanza violenta incombe una burrascosa tempesta, mentre da ogni parte il turbine pericoloso dei venti ruggisce e infierisce, urla il mare, le stesse isole sono scosse dalle fondamenta e i litorali sono scossi da pauroso fragore. Ma poiché dicemmo: Cristo dorme nella nostra nave, avviciniamoci a lui piú con la fede che col corpo, e bussiamo alla sua porta [svegliamolo] piú con le opere di misericordia che con il contatto di disperati; scegliamolo non con un frastuono fastidioso ma con canti spirituali: non mormorando maliziosamente, ma supplicandolo con animo vigile. Offriamo a Dio qualcosa della nostra vita, affinché questa infelice vanità e questa agitazione non sciupi il tempo della nostra vita; affinché l`eccessivo sonno e il vano torpore non sciupi tutta la notte ma parimenti parte del giorno e della notte noi stessi dedichiamo all`autore del tempo. Vigila, uomo! Hai l`esempio, e ciò che il gallo ti annuncia, cioè che è già vicina la luce del nuovo giorno, tu offrila al tuo creatore, soprattutto quando ti spinge al lavoro e ti suggerisce che ti sarà di aiuto; piú con inni celesti rivolgiti a Dio con virtù celeste per la tua salvezza. Ascolta il profeta che dice: “Durante la notte il mio spirito veglia presso di te, o Dio” (Is 26,9). E il salmista: “le mie mani di notte sono levate davanti a lui, e non sarò ingannato” (Sal 76,3). Del giorno, infatti lo stesso salmista ammonisce che tre momenti bisogna riservare a Dio, dicendo: “Di sera, al mattino e nel mezzogiorno narrerò ed annunzierò, ed egli esaudirà la mia voce” (Sal 54,18). Mentre Daniele supplicava diligentemente Dio, in questi tre momenti [della giornata], ottenne non solo la prescienza del futuro, ma meritò la liberazione del suo popolo a lungo prigioniero. Ripetiamo, dunque, col profeta: “Sorgi, sorgi non respingermi fino alla fine” (Mc 4,38). Diciamo con gli apostoli: “Maestro, nont`importa che affondiamo?” (Mc 4,38). Veramente il maestro, non solo è il creatore di tutti gli elementi, ma anche il moderatore e il reggitore di essi. Ed egli quando ci avrà ascoltato, quando si sarà degnato di vigilare, si calmeranno le onde, e gli spaventosi marosi si appianeranno e cosí i colli, i venti si allontaneranno, cesserà la tempesta e e la grande burrasca imminente si trasformerà nella piú grande calma. (Pier Crisologo, Omelia 21,1 ss.)
2. L`esempio dei buoni pastori
La Chiesa naviga, come una grande nave, attraverso il mare di questo mondo, ed è flagellata in questa vita da diversi flutti di tentazioni: non dev`essere abbandonata, ma diretta. E di questo ci diedero esempio i primi Padri, Clemente, Cornelio e altri nella città di Roma, Cipriano a Cartagine, Atanasio in Alessandria, i quali governarono, la nave di Cristo sotto imperatori pagani, o meglio la sua carissima sposa, la Chiesa, insegnando, difendendo, lavorando e soffrendo fino allo spargimento del loro sangue… [I pastori che pascolano sé stessi] non guariscono col consiglio spirituale colui che è ammalato nei peccati, non ristabiliscono con l`aiuto sacerdotale chi è oppresso da varie tribolazioni, non riportano, colui che sbaglia, sulla via della salvezza, non richiamano al perdono con pastorale sollecitudine colui che s`è perduto nella disperazione, né difendono gli afflitti dalla violenza dei potenti, che come belve, s`avventano contro di loro… Perciò, fratello carissimo, poiché le cose stanno proprio cosí e la verità può essere tormentata, ma non può esser vinta né ingannata, la nostra mente afflitta ricorra a colui che attraverso Salomone dice: “Abbi fiducia nel Signore con tutto il tuo cuore e non contare sulla tua scaltrezza in tutte le tue cose. Ricordati di lui ed egli guiderà i tuoi passi” (Pr 3,5), e altrove: “E` torre fortissima il nome di Dio” (Pr 18,10). In questa si rifugia il giusto, e sarà salvo. Stiamo nella giustizia, prepariamoci alla tentazione, per aiutare l`aiuto di Dio e diciamogli: «Signore, sei il nostro rifugio da sempre». Confidiamo in colui che ci ha messo il peso sulle spalle. Ciò che non possiamo portare da noi, soli, portiamolo per mezzo di colui che è onnipotente e ci dice: “Il mio giogo è soave e il mio peso è leggero” (Mt 11,30). Stiamo nella battaglia nel giorno del Signore, poiché è giunto per noi il tempo dell`angustia e della tribolazione. Moriamo, se Dio lo vuole, per le sante leggi dei nostri padri, per poter meritare con loro l`eredità eterna. Non siamo cani muti, non siamo osservatori silenziosi, non siamo mercenari che fuggono innanzi al lupo, ma pastori solleciti, vigilanti sul gregge di Cristo, messaggeri del pensiero di Dio ai grandi e ai piccoli, ai ricchi e ai poveri, a tutte le condizioni sociali a tutte le età con tutta la forza che Dio ci darà. (Bonifacio di Magonza, Epist. ad Cutheb.)
3. Se la fede è in noi, Cristo è in noi
Se la fede è dentro di te, dentro di te c`è Cristo; e se la fede è in noi, Cristo è in noi. Lo attesta l`Apostolo: “Per mezzo della fede, Gesú Cristo abita nei nostri cuori” (Ef 3,17). Se la tua fede deriva da Cristo, Cristo è nel tuo cuore. Ricordate l`episodio del Vangelo, in cui si narra di Cristo che dormiva nella barca: i discepoli vedendosi esposti al pericolo di un imminente naufragio, gli si avvicinarono e lo svegliarono. Cristo si alzò, comandò ai venti e alle onde, subito si fece gran calma sul mare. Fa’ cosí anche tu. I venti entrano nel tuo cuore, come se tu navigassi in questa vita su un mare tempestoso e pieno di scogli pericolosi: il vento entra, sconvolge le onde, e la tua barca ne è quasi travolta. Chi sono questi venti? Ti è stata rivolta un`offesa e tu sei colto dall`ira: l`offesa è il vento, l`ira è l`onda travolgente. Sei in pericolo, perché ti prepari a rispondere, ti prepari a restituire l`offesa con un`altra piú grave, e già la tua nave si avvicina al naufragio. Sveglia a questo punto Cristo che dorme. Tu eri travolto dalle onde, stavi per rispondere con una ingiuria all`oltraggio che ti è stato fatto, perché Cristo dormiva sulla tua navicella. Il sonno di Cristo nel tuo cuore è l`oblio della fede. Infatti, se svegli Cristo, cioè se fai appello alla fede, che cosa ti dice Cristo, sveglio nel tuo cuore? Ti dice: Ho sentito i miei nemici dirmi: tu hai il demonio in corpo, e io ho pregato per loro. Il Signore sente l`offesa e la sopporta: il servo invece sente l`offesa e si indigna! Anzi, tu
ti vuoi vendicare. Ma come? Io – continua Cristo nel tuo cuore – mi sono forse vendicato? Quando la fede parla cosí nel tuo cuore, è come se comandasse ai venti e alle onde: subito si fa una gran calma. (Agostino, Comment. in Ioan., 49, 19)
4. Simbologia della Chiesa
Il mare è il mondo, in cui la Chiesa, come una nave nelle onde del mare, è sbattuta dai flutti, ma non fa naufragio; perché ha con sé Cristo, il suo prudente timoniere. Nel centro ha il trofeo eretto contro la morte, la croce del Signore. La sua prua è a Oriente, la poppa ad Occidente, la carena a Mezzogiorno, i cardini sono i due Testamenti, le corde son la Carità di Cristo che tiene stretta la Chiesa, la vela rappresenta il lavacro di rigenerazione che rinnova i fedeli. Il vento è lo Spirito che vien dal cielo, per il quale i fedeli son condotti a Dio. Con lo Spirito ha àncore di ferro nei precetti di Cristo. Né le mancano marinai a destra e a sinistra, poiché i santi angeli la circondano e difendono. La scala, che sale sull`albero, è immagine della passione di Cristo, che porta i fedeli fino al cielo. Le segnalazioni in cima all`albero maestro sono le luci dei Profeti, dei Martiri, degli Apostoli, che riposano nel regno di Cristo. (Ippolito di Roma, De Christ. et antichr., 59)
A cura di Gino Prandina, fraternità dell’Hospitale e AxA associazioni Artisti per l’Arte Sacra Vicenza, digit: artesacravicenza.org – I commenti teologici sono tratti dai manoscritti di H.U.V.Balthasar e e M.v.Speryr.; esegegi di Bruno Maggioni. © Copyright All rights reserved. Tutti i diritti riservati